“Surveillance Capitalism”, una traiettoria di uscita

PAOLO BUTTIGLIERI

07/01/2020

Un’architettura globale di sorveglianza, ubiqua e sempre all’erta, osserva e indirizza il nostro stesso comportamento per fare gli interessi di pochissimi – coloro i quali dalla compravendita dei nostri dati personali e delle predizioni sui comportamenti futuritraggono enormi ricchezze e un potere sconfinato.

9788861054097_0_221_0_75E’ il “capitalismo della sorveglianza”, retto sugli enormi profitti generati dall’estrazione di dati che riguardano la quotidianità di tutti voi: questa definizione ricorre in un crescente numero di opere, da ultima The Age of Surveillance Capitalism (2019), di Shoshana Zuboff, docente dell’Harvard University.

I processi di controllo e comunicazione messi in atto dall’odierna società dell’informazione stanno modificando profondamente le regole fondamentali delle condizioni di vita e di lavoro, i codici di condotta degli esseri umani.
Un nuovo ordine economico che sfrutta l’esperienza umana sotto forma di dati come materia prima per pratiche commerciali segrete e il movimento di potere che impone il proprio dominio sulla società sfidando la democrazia e mettendo a rischio la nostra stessa libertà. Stiamo pagando per farci dominare. Le “tech company” hanno soppiantato il capitalismo industriale del XX secolo accumulando introiti e potere stratosferici grazie ai nostri dati.

Nel campo della comunicazione la crescita enorme della potenza computazionale, la pervasività di dispositivi elaboratori di informazione e l’esplosione dei social network hanno generato un universo informativo in continua evoluzione.

Capire il senso di questa profonda trasformazione, significa cominciare, con le armi della conoscenza individuale, a sviluppare gli anticorpi ai suoi aspetti più pericolosi e deteriori.

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Il capitalismo odierno ha generato una nuova fiction commodity: i processi reali dipendono dalla rielaborazione dei dati comportamentali. Per tale via la logica basilare del mercato viene modificata, lasciando ovviamente invariata la logica del profitto, ma che può portare al “surveillance capitalism”, basato non più sulla divisione del lavoro, bensì sulla “divisione della conoscenza”.

Lungi dal paventare inevitabili catastrofismi, del tutto estranei al pensiero della studiosa, si ipotizza una traiettoria di uscita (Zuboff, 2014), partendo dall’assunzione anti deterministica che non esiste l’inevitabile e l’evoluzione della tecnologia non segue una legge di natura, ma è la conseguenza di scelte e strategie operate da esseri umani in contesti dati.

E’ l’incubo in cui bisogna immergersi per poter trovare la strada che ci conduca a un futuro più giusto. Una strada difficile, complessa, in parte sconosciuta, ma che non può che avere origine dal nostro dire “basta!”

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